Questo porno che non è un porno

Rachele 03

di Rachele Borghi

Non è più possibile scegliere la non rappresentazione della sessualità perché senza rappresentazione non c’è sessualità. L’unica cosa che possiamo scegliere
è una forma di proliferazione critica di rappresentazioni sessuali.
Beatriz Preciado, 2011b, p. 160.

«Step right up, hi, how are you? Thanks for coming! You are welcome». Con queste parole la celebre star (post)porno Annie Sprinkle accoglieva all’inizio degli anni Novanta coloro che si avvicinavano non alla soglia della sua casa ma a quella della sua cervice. Realizzava così la prima performance postporno dal vivo.

Sebbene sia difficile determinare con esattezza una data di inizio di una produzione postporno propriamente detta, si può affermare che A public cervix announcement segna definitivamente il passaggio dalla produzione di un porno mainstream a quella di un porno connotato politicamente e con obiettivi di impatto/cambiamento sociale [1]. Questa performance, infatti, racchiude in sé molte delle caratteristiche che possono essere attribuite al postporno: caduta definitiva della divisione tra pubblico e privato, uso dell’ironia, rottura del binomio soggetto/oggetto, eliminazione del confine tra cultura alta (quella artistica) e bassa (pornografica) [2], coinvolgimento degli/delle spettatori/spettatrici, condivisione pubblica di pratiche collocate nella sfera del privato, denuncia della medicalizzazione dei corpi, rovesciamento e messa in discussione del rapporto sesso/sessualità, uso di protesi (lo speculum, in questo caso). Il postporno rompe con tutti quei binomi attraverso cui la sessualità viene rappresentata e performata, per enfatizzarne il valore politico e farla uscire dalla sfera del privato in cui è stata relegata.

Si tratta di un fenomeno fluido, che cerca di liberarsi da ogni tipo di etichetta. Sono gli/le stess* protagonist* ad autodefinirsi «postporno»; allo stesso tempo, però, rifiutano l’idea di far parte di un movimento omogeneo accomunato da caratteristiche definibili e dai tratti ben demarcati [3]. La letteratura sull’argomento comprende, nella maggior parte dei casi, blog, siti Internet e materiale di descrizione del fenomeno prodotto dalle stesse performer o da attivist* queer [4]. La produzione della cultura postporno, infatti, si caratterizza per il tentativo di sperimentare la soppressione del confine tra teoria e pratica, grazie anche al «Do it yourself» che, in questo caso, rende possibile la liberazione dal giogo della citazione e della referenzialità. La letteratura scientifica incentrata sul postporno, invece, è ancora rara [5]. Forse anche perché il postporno, sulla scia del femminismo pro-sex, vuole raccontarsi dall’interno, far parlare i protagonisti, partire dalle esperienze, lasciando da parte e talvolta perfino rifiutando il discorso degli «esperti»: «Il corpo, il piacere, la rappresentazione pornografica, il lavoro sessuale [per il femminismo pro sex] sono degli strumenti politici… La parola di quelli che sono direttamente interessati prevale sulla parola degli esperti» (Despentes [e Bourcier], 2011) [6].

Pur facendo riferimento alla queer theory nel suo insieme, le performer citano direttamente alcune autrici e testi diventati veri e propri manifesti di un femminismo dissidente transgenere. È il caso, di Beatriz Preciado, che con Manifesto contra-sessuale pone l’accento su quegli strumenti concettuali ereditati dal femminismo e dalla tradizione filosofica francese adatti alla produzione di strategie efficaci nel contesto politico contemporaneo (Borghi, 2002, p. 12). Inserendosi così nel solco tracciato dal terzo femminismo [7], Preciado apre definitivamente la strada al transfemminismo, un femminismo trasversale al sesso e al genere che legittima l’esistenza di identità fluide caratteristiche della società post-identitaria, in cui «le nostre alleanze più prossime devono essere transgeniche, transessuali, anticoloniali. Queste sono le nostre alleanze, questo è il luogo del femminismo oggi» (Preciado, 2011b, p. 160) [8].

Al Manifesto fa seguito Testo Junkie e l’inedito Terrore anale, insieme a King Kong girl di Virginie Despentes, la trilogia Queer Zones di Marie-Hélène Bourcier, Devenir Perra [9] di Itziar Ziga e Post Porn Modernist di Annie Sprinkle. Le performer riconoscono quindi non solo l’eredità dei capisaldi della queer theory come Judith Butler, Teresa de Lauretis o Donna Haraway, ma la mettono in relazione con le riflessioni contemporanee provenienti dal contesto accademico e da quello della militanza, messi esattamente sullo stesso piano. Se nel femminismo pro-sex la voce degli esperti viene sostituita da quella delle protagoniste stesse, legittimate anch’esse a produrre conoscenza, le performer postporno citano contemporaneamente teoriche e attiviste/protagoniste, rompendo ancora una volta il binomio teoria/pratica e rendendo possibile la polifonia contra-teorica.

Ma in questo contesto «fluido», è possibile rintracciare dei tratti distintivi della produzione postporno? Pur nella loro varietà, le performance, soprattutto quelle live, presentano dei denominatori comuni:

Uso delle protesi. Con riferimento al corpo cyborg di Donna Haraway (1999), le performer usano le protesi per estendere e potenziare la loro sessualità. In questa maniera, richiamano non solo la body art, ma entrano direttamente a fare parte delle culture di resistenza ispirate allo stile di vita «do-it-yourself» (McKay, 1996) e alla scena postpunk che usa la tecnologia e gioca con essa muovendosi agevolmente nel cyberspazio [10]. Oltre a ciò, il riferimento diretto è al sado-masochismo e alle pratiche Bdsm.

Centralità dell’ano. Nel transfemminismo l’ano acquista un ruolo centrale. In Manifesto contra-sessuale Beatriz Preciado sostiene che i lavoratori dell’ano siano i nuovi proletari di una possibile rivoluzione contra-sessuale. L’ano infatti «travalica i limiti anatomici imposti dalla differenza sessuale […]; è un centro produttore di eccitazione e di piacere che non figura nella lista dei punti orgasmici prescritti […]; è una fabbrica in cui il corpo si ricostituisce come contra-sessuale» (Preciado, 2002, p. 35).

Rottura dei binarismi. La critica alla sovrapposizione tra genere/ses- so/sessualità trova qui una delle sue espressioni più forti e concrete. La delocalizzazione del sesso resa possibile dall’uso delle protesi, la rappresentazione di corpi androgini, la rinuncia alla condizione di uomo e donna con il conseguente abbandono dei privilegi che da essa derivano, libera e svincola definitivamente il genere dal sesso, dando legittimità e visibilità alle sessualità dissidenti.

Critica del capitalismo. La volontà di non inserirsi nei canali di diffusione del porno mainstream, nei luoghi ad esso dedicati e nei circuiti ufficiali risponde alla forte componente di critica al capitalismo. VideoArms Idea rielabora questo tema nella live performance Porno-capitalismo: «La sfacciataggine e la follia del capitalismo han determinato l’autorità trasformando i corpi. Corpi di donne, gay, lesbiche, trans, bisessuali, queer, malati, pazzi, diversamente abili, anoressici, grassi, troppo belli o troppo brutti, bambini, perversi, stranieri, sfigati, territori occupati e controllati da una continua mani- polazione che agisce su tutti i livelli della percezione della realtà e dell’esistenza. La comunicazione diventa merce, le relazioni rapporti di diffidenza e vigilanza, il contatto scopo, la vita esperienza annullata. […] La sessualità stessa incarna i codici di questa politica della corporeità morta. A partire dal rifiuto di questa meccanica e mediando tra testa e viscere, rielaboriamo i nostri corpi e le nostre coscienze con un sentimento d’amore folle e con una spregiudicatezza carica di poesia» (Video Arms Idea, 2011).

Corpo come laboratorio di sperimentazione. Il corpo diviene luogo, prodotto, mezzo, manifesto, artificio, strumento di sovversione, di critica, di reazione alla violenza della società normata che «ferisce costantemente il mio corpo» (Diana Pornoterrorista, in Borghi, 2011b).

Lavoro sulle pratiche. La valenza politica della performance ha un suo terreno di prova nei workshop aperti al pubblico. Essi acquistano un valore politico, da una parte, per l’elaborazione delle idee e la loro trasformazione in progetti, dall’altra per la diffusione dei lavori e delle riflessioni. In questo modo il processo di produzione artistica si lega in maniera stretta a quello di trasmissione. Alla decostruzione del genere e della sessualità si affianca la messa in discussione del proprio rapporto con le costruzioni e costrizioni sociali (Slavina, 2011).

La portata dirompente del postporno nel rompere le categorie, nello scardinare la presunta neutralità dello spazio pubblico etero-normato [11], ma soprattutto il suo valore politico e di critica sociale è ciò che fa affermare a molt*: «ecco perché ci piace il postporno» (Femminismo a Sud, 2011). Ma la postpornografia può essere davvero esclusiva? Può riuscire a non incorrere nel rischio di invisibilizzazione e/o silenzio di tutti quei soggetti postcoloniali tagliati troppo spesso fuori anche dai discorsi critici? O al contrario corre il rischio di essere criticata come un fenomeno bianco e occidentale? Prova a rispondere Beatriz Preciado: «Penso che la questione non debba essere se ci siano donne nere che performano all’interno dei gruppi postporno. La questione è, piuttosto, quali sono le pratiche di critica e di resistenza, di produzione del corpo che emergono dai movimenti anticoloniali in sé. Bisogna fare attenzione a non riprodurre le dinamiche di integrazione multiculturale, mettendo qualche persona nera a performare con noi… […] Credo che, sì, nella critica dei modelli di produzione della mascolinità e della femminilità bianca eterosessuale ci sia anche una critica coloniale, per forza, e che questa critica coloniale passerà per l’alleanza strategica tra i movimenti queer europei e i movimenti neri, latinoamericani, i movimenti degli immigrati. […] non riesco a essere negativa rispetto al movimento queer, non vedo assolutamente persone bianche che stanno performando; quello che vedo nelle performances postporno è una critica dell’eterosessualità mainstream» (Beatriz Preciado, in Borghi, 2011a).

Così, inserendosi all’interno del transfemminismo, il postporno tenta di supera la forma d’arte, cercando di andare a toccare e incrinare i dispositivi di dominio.

 

 

1 Per un’introduzione in italiano ai porn studies si veda E. Biasin, G. Maina e F. Zecca, 2010.

2 Sull’uso strumentale dell’etichetta «porno» da parte della critica per declassare un certo tipo di produzione cinematografica si veda il caso del film Baise-moi di Virginie Despentes, analizzato da Marie-Hélène Bourcier, 2011.

3 È quello che si riscontra nelle parole di alcune performer intervistate da Lucía Egaña Rojas nel suo documentario Mi sexualidad es una creacion artistica (2011), incentrato sulla scena postporno spagnola.

4 Rinviamo, tra gli altri, al sito Malapecora, creato dalla scrittrice e attivista Slavina (www.malapecora.noblogs.org). Slavina è stata definita da Diana Pornoterrorista «la nostra rete, il nostro punto di contatto» per il suo lavoro di raccolta di materiale, restituzione degli eventi, rielaborazione e riflessione sui temi e sull’attualità postpornografica (si veda Borghi, 2011c). Il suo sito è diventato un vero e proprio punto di riferimento, in particolare per l’Italia dove, di fatto, la scena postporno è inesistente, ma si avvertono un interesse e un fervore crescente. Si veda anche la rubrica «Postporno» della rivista XXDonne (www.xxdonne.net).

5 Si veda il testo curato dallo studioso e artista Tim Stüttgen Post Porn Politics, 2009 a seguito della conferenza Post/Porn/Politics tenutasi a Berlino nel 2006.

6 Il documentario Mutantes. Féminisme porno punk (2011), da cui è tratta questa citazione, è firmato da V. Despentes. Le interviste sono state realizzate dalla regista insieme con Marie-Hélène Bourcier.

7 Sul terzo femminismo e i suoi rapporti con il lesbo-queer si veda L. Borghi, 2006.

8 Pur restando Manifesto contra-sessuale un testo di riferimento, è in realtà il successivo Testo Junkie ad essere considerato oggi il vero manifesto del transfemminismo.

9 www.devenirperra.blogspot.com.

10 Su controcultura e tecnologia si veda, tra gli altri, Dery, 1997.

11 Rinviamo a Borghi, 2012.

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